La comunicazione nella coppia e con i figli
La comunicazione nella coppia è un processo dinamico, non statico. Inizialmente è preverbale, tutto accade attraverso l’occhio, come una regressione, come l’inizio di qualunque relazione in fondo, poi diventa verbale e quasi le parole di uno e dell’altro si sovrappongono. Col tempo si creano delle dinamiche di comunicazione, degli spazi e dei modi che risentono dei codici acquisiti all’interno delle proprie famiglie di origine.
Tuttavia talvolta la comunicazione cambia e può emergere un malessere che solitamente nasce da aspettative, disillusioni di desideri riposti nell’altro, di bisogni non espressi. Ecco che allora il linguaggio cambia e gli atteggiamenti si induriscono, per mantenere la propria posizione si giunge a umiliare, svalorizzare, rimproverare, accusare e ferire l’altro con parole. Talvolta è il linguaggio del corpo che parla: i silenzi, gli atteggiamenti passivi, i bronci i sospiri, modalità passive , non comunicazione per sfuggire al conflitto ma è una guerra fredda. Si rimanda sperando che le cose si risolvano prima o poi da sole. Come ritrovare la comunicazione? Una risposta sicura non c’è ma qualche tentativo va fatto altrimenti sarà comunque una sconfitta.Intanto è importante pensare che ognuno di noi cambia e cresce anche nella coppia. Chi abbiamo conosciuto può cambiare e noi dobbiamo cambiare con lui, non possiamo pensare che i fatti della vita, il lavoro, i figli, l’età non abbiano alcun effetto sul carattere. Spesso sento dire “ma è cambiato/a, non era così prima…” Io penso che sia un processo naturale, ma dobbiamo anche tener conto di: è lui /lei che è cambiato o io avevo bisogno/ desiderio che fosse così e ora si è svelato altro? Credo che per ritrovarsi ci si debba fermare, accantonando l’immagine sgradevole che si è creata, tornando indietro a ciò che ci ha colpito, ci ha fatto consegnare nelle mani dell’altro.
Riprovare a parlare, spostando tutto ciò che si è messo in mezzo (figli, lavoro, famiglie di origine…), lasciarsi venir fuori, dichiarare i propri bisogni, ciò che ci sembra di aver perso, ascoltando e immedesimandosi nell’altro, vedere i suoi sbagli per capire che potremmo farne anche noi. Cosa certa è che se ci sono difficoltà di comunicazione nella coppia, gli effetti pervasivi del funzionamento di coppia sulla famiglia sono evidenti. L’infelicità si insinua anche sotto la pelle dei figli. I genitori entrano in comunicazione con una modalità non verbale, sguardi, non sguardi, presenza e assenza, contatto corporeo o distanza e ciò getta le basi sulla comunicazione futura. Sarà l’esperienza con noi genitori che condizionerà il suo modo di relazionarsi e di comunicare futuro. All’inizio con un figlio non sono molte le difficoltà di comunicazione, qualche volta di farsi ascoltare ma abbiamo il timone ancora ben saldo. Infondo la comunicazione parte da ciò che infondiamo in loro. Ma si parte prima, anche quando le cose vanno bene, noi insegniamo ai bambini ad ascoltare, aspettare e comprendere e vedere il punto di vista degli altri.
Con i bambini o parliamo troppo o non parliamo. Comunicare con un bambino vuol dire parlare del suo mondo, di quello che vede e ascoltare come lo interpreta, prestarsi all’ascolto e contenerlo, diverso è la relazione con l’adolescente, già complicato perchè in fisiologica crisi d’identificazione, lui sa di esistere ma non sa ancora chi è, chi diventerà. Inevitabilmente si chiude, sfugge, deve avere tempo e spazio per Se, in questo distacco noi leggiamo voglia di stare lontani da noi, di guadagnare libertà, ma c’è anche sofferenza. Il bisogno di opporsi fortemente è pari al bisogno di essere riaccolto, allo stesso tempo è necessario che la sua conflittualità esca e trovi un capro espiatorio al di fuori di lui. E quello spesso sono i genitori. Ha l’esigenza di essere rappresentato e contenuto nella mente degli altri. E magari si trova davanti due adulti che sono spauriti, non lo riconoscono più, disorientati non sanno più come parlargli.
Per l’adulto è difficile riassettarsi ma è indispensabile accettare, occorre prenderlo quando c’è, non lasciarlo sfuggire, altrimenti lo vedrà come un rifiuto da parte nostra. Ma si può anche rimandare, si è autorevoli anche se si è flessibile al punto da offrire al ragazzo la possibilità di essere ascoltato e accolto anche nel suo bisogno di differenziarsi e autonomizzarsi; ma anche fermi, in grado di contenere il tumulto dei suoi cambiamenti e conflitti interiori. Dobbiamo essere noi adulti quelli adattabili. La troppa rigidità è vissuta come distanza e come abbandono, in questo caso il ragazzo e il suo atteggiamento sarà di provocazione, oppositività. E’ necessario prstarsi allo scontro ma anche contenere. Non è facile restare in equilibrio davanti a un figlio che ti respinge, rifiuta tutto, che già dallo sguardo può ferire. Il compito è arduo, e comunque si sbaglia. Non fare l’errore di voler essere amici, di voler sapere tutto, lasciargli una parte di sconosciuto, tutta loro è necessario, non cadere in provocazione, non ferire intenzionalmente se si è stati feriti, non offendere per vincere il confronto, non attaccare la dignità della persona, non cercare il suo senso di colpa.
A volte togliersi è uguale a mettersi. “Non me lo dire. Domani se avrai voglia di dirmelo mi piacerà ascoltarlo… Non porre l’attenzione sempre a cose che mancano o sono troppo poco. Sogni e aspirazioni di questi ultimi, anche molto semplici, restano inascoltati in una quotidianità in cui ciascuno appare concentrato principalmente su se stesso e i propri problemi. Infatti spesso dai discorsi dei genitori si coglie un profondo senso di affanno, di stanchezza, si dichiarano provati, sfibrati, sfiniti. Cercano stabilità, la possibilità di trovare uno specchio che rifletta anche le loro parti buone, anche quelle che loro non riescono a vedere, perché immersi in molte situazioni che a loro fanno paura, nell’incertezza del futuro… Se questo che sto diventando non fa paura a te che mi conosci, non farà paura nemmeno a me.
Vi chiedo di ascoltare il loro silenzio e di far capire loro che volete capire cosa vorrebbero sognare se potessero farlo, vi chiedo di non chiedere solo di essere ascoltati ma di farlo come uno scambio, abbandonando il “devi”, tenendo saldo il “ puoi farlo e lo farò io per e con te.